Londra ( Stafano Rampelli) Oggi ho messo sul piatto, un disco di Keith Jarrett. Ho fissato oltre la finestra, e mi sono lasciato trasportare dalla sua musica. Non ho mai capito se e’ la musica che trovava Jarrett o lui che la inseguiva. Sono arrivato alla conclusione che si inseguono entrambi per creare atmosfere sublimi.
E sapere, il maestro Jarrett, in una intervista al New York Times’ che non suonera’ piu’, e che il lato sinistro del suo corpo è parzialmente paralizzato, mi ha lasciato sofferente e spaesato.
Dall’intervista, si avverte tutta la sua sofferenza, tutta la frustazione di un’artista che non puo’ piu’ esprimesi con la sua arte.
Keith Jarrett dal luglio del 2018, fino al maggio 2020 e’ stato in una clinica specializzata, ma la sua parte sinistra del corpo e’ compromessa per sempre, e la parte destra risponde a tratti, cosi’ il pianoforte non si puo’ suonare. «Non so cosa mi riserverà il futuro. Ma adesso non mi sento più un pianista. È tutto quello che posso dire», cosi’ ha sintetizzato il suo stato d’animo il grande Keith Jarrett.
E no! mi permetto di dissentire : Chi e’ nato per suonare il piano, e’ un pianista per sempre. E oltre, dovra’ suonare altre armonie.
L’ultimo concerto e’ stato quello poco dopo l’insediamento di Trump. L’ultimo album, invece, uscirà venerdì 30 ottobre: è la registrazione del concerto alla Béla Bartók National Concert Hall di Budapest del luglio 2016.
Mi sto perdendo nella musica, e in quel punto infinito dietro la finestra. Ma dovevo ancorare queste senzazioni in alcune parole.